Le recenti cronache riportano, ormai sempre più di frequente, notizie riguardo alle cosiddette “truffe sentimentali” e ad operazioni di polizia sfociate addirittura nell’applicazione di misure cautelari personali e sequestri di beni di ingente valore. Si tratta, in sostanza, di attività criminose realizzate talvolta occasionalmente, ma altre volte in forma sistematica ed organizzata, più spesso – ma non solo - favorite dall’utilizzo di falsi profili social attraverso i quali l’autore del reato, simulando relazioni affettive e sentimenti, induce in errore il destinatario di tali manifestazioni di attenzione, al fine di ottenere atti di disposizione patrimoniale in proprio favore.
La definizione di “truffa sentimentale” compare, per la prima volta, in una sentenza di merito del Tribunale di Milano, risalente all’anno 2015 (sentenza Tribunale Milano, III Sezione, 14.07.2015, dep. 08.09.2015). La vicenda giudiziaria riguardava il caso di una donna che aveva prestato diverse somme di denaro all’imputato, soggetto con il quale intratteneva una relazione sentimentale sorta da alcuni mesi, avendo da costui ricevuto promesse e rassicurazioni circa la costruzione insieme di una famiglia nonché circa la restituzione di quanto ricevuto in prestito; l’uomo aveva poi interrotto la relazione rifiutando di restituire per intero il denaro ottenuto in funzione o, comunque, nel contesto della relazione stessa.
In quella circostanza, il Giudice di cognizione aveva concluso per la insussistenza del delitto di truffa, dopo avere esaminato gli elementi costitutivi di tale fattispecie ed avere verificato la possibile riferibilità agli stessi della vicenda oggetto del procedimento penale.
È interessante notare come, pur essendo addivenuto ad una pronuncia assolutoria, il giudicante avesse ritenuto in linea generale pienamente configurabile il reato in questione in contesti di tipo “sentimentale”. Il ragionamento in tal senso seguito dalla decisione del Tribunale di Milano aveva preso le mosse, innanzitutto, dal rilievo che il delitto di truffa, reato contro il patrimonio, presuppone che esso venga realizzato con la cooperazione della vittima, ottenuta mediante frode.
La condotta tipica del reato, poi, richiede quattro eventi tra loro collegati in una precisa e necessaria sequenza:
1) l’agente deve porre in essere un comportamento fraudolento che comprenda artifici o raggiri e a causa di tali atti fraudolenti la vittima deve risultare indotta in errore;
2) il soggetto ingannato deve compiere un atto di disposizione patrimoniale;
3) da tale atto di disposizione deve derivare un danno ingiusto;
4) dal medesimo atto di disposizione patrimoniale deve derivare il conseguimento di un ingiusto profitto in capo al soggetto agente.
Svolta tale premessa, poi, la sentenza osservava che “In termini più generali – e con la cautela che ogni astrazione dal caso concreto richiede – è lecito domandarsi se sia concepibile una truffa quando una persona inganni il proprio «compagno» (o la propria «compagna») circa i propri sentimenti, al solo scopo di ottenere un vantaggio patrimoniale con altrui danno. La risposta può essere affermativa: è infatti ipotizzabile il caso di un soggetto che attraverso un’artificiosa messa in scena, faccia credere ad una persona che esistano determinati sentimenti di affetto o di amore reciproci all’unico e preciso scopo di ottenere da quest’ultima un atto di disposizione patrimoniale. Si pensi ad esempio ad un soggetto che contatti una persona su un social network e intraprenda con questa una corrispondenza offrendo dati falsi circa le proprie qualità, i propri interessi, e la propria professione e riuscendo, in tal modo, a far invaghire la persona, a farle credere che i sentimenti affettivi siano reciproci e infine a farle effettuare una prestazione patrimoniale a proprio favore. Un’analoga condotta è d’altronde ipotizzabile anche quando l’agente agisca «di persona» e non tramite internet.
In simili ipotesi – astrattamente qualificabili come truffa – è tuttavia più che mai doveroso vagliare con cura ogni singolo elemento costitutivo della fattispecie di reato, onde evitare una spropositata estensione dell’area della rilevanza penale. Un primo aspetto da vagliare con stretto scrutinio è la concreta portata fraudolenta della condotta: non c’è truffa allorché l’inganno non sia stato tessuto in modo artificioso attraverso un’alterazione della realtà esterna, simulatrice dell’inesistente o dissimulatrice dell’esistente (artificio) o con una menzogna corredata da ragionamenti idonei a farla scambiare per realtà (raggiro). Il semplice mentire sui propri sentimenti (la nuda menzogna) non integra una condotta tipica di truffa.
Dalla motivazione di tale decisione si comprende agevolmente quanto sia più complesso l’accertamento del reato, nell’ipotesi in cui la condotta ingannatoria intervenga tra persone che abbiano tra loro contatti diretti, rispetto al fenomeno più ricorrente di vicende che si verifichino mediante l’utilizzo di social networks.
Nel primo caso, infatti, la non veridicità della dichiarazione d’amore o dei sentimenti più in generale esternati, non è da sola sufficiente ad integrare gli artifici o raggiri richiesti dall’art. 640 del codice penale, occorrendo comportamenti più complessi, sorretti sin dall’inizio da un intento ingannatorio (“l’agente deve avere fin dall’inizio voluto ingannare la vittima e ottenere una prestazione patrimoniale ingiusta con altrui danno”, cfr. sent. cit.).
Tale impostazione appare peraltro condivisibile, non solo perché obiettivamente aderente al disposto della norma incriminatrice, ma anche e soprattutto perché non si può assegnare rilevanza penale a qualunque problematica di natura relazionale, che si innesti sul dubbio circa la veridicità di sentimenti teoricamente reciproci, nell’ambito della quale siano intervenuti atti di disposizione patrimoniale.
A distanza di alcuni anni, sul medesimo fenomeno, sempre inerente ad ipotesi di truffa sentimentale di natura non “virtuale”, interveniva anche la Suprema Corte di Cassazione (si veda, ad esempio, Cass. Pen. II, sent. n. 25165 del 11.04.2019, dep 06.06.2019), chiamata ad esaminare un ricorso nel quale l’imputato, condannato nei giudizi di primo e secondo grado, aveva dedotto l’insussistenza degli estremi del delitto di cui all’art. 640 Codice Penale, rispetto alla propria condotta consistita nel simulare sentimenti d’amore e progetti di vita, inducendo la persona offesa a compiere scelte patrimoniali che diversamente non avrebbe attuato. Nella specie, il ricorrente aveva intessuto una relazione sentimentale ed aveva, mediante una vera e propria forma di manipolazione esterna della psiche della propria vittima, rappresentato alla medesima un progetto di vita che prevedeva l’assunzione di ingenti impegni patrimoniali, tra cui l’acquisto di un immobile oltre ad investimenti in quote societarie. La peculiarità che connotava la vicenda è legata al fatto che gli atti di disposizione patrimoniale posti in essere della persona offesa, correttamente contestualizzati mediante la valutazione di plurimi ed univoci elementi probatori, dimostravano come questi costituissero diretta conseguenza dell’attività ingannatoria sulla autenticità dell’affetto e sui progetti di vita in comune.
Il disvalore di tale tipologia di comportamento, al punto da assumere rilevanza penale, andava individuato, secondo la Suprema Corte, nel rilievo che “in casi del genere la truffa non si apprezza per l’inganno riguardante i sentimenti dell’agente rispetto a quelli della vittima, ma perché la menzogna circa i propri sentimenti è intonata con tutta una situazione atta a far scambiare il falso con il vero operando sulla psiche del soggetto passivo.
A tal proposito, va chiarito che, per ricostruire l’elemento oggettivo del reato, si deve tener presente la concatenazione delle note modali della condotta truffaldina e dei conseguenti eventi, nella sequenza indicata dal legislatore artifizi o raggiri – induzione in errore – atto dispositivo – danno patrimoniale e profitto ingiusto, sottolineando in particolare, che ai fini della individuazione della condotta truffaldina, occorre accertare l’idoneità ingannatoria degli artifizi e raggiri ed il nesso causale tra l’inganno e l’errore della vittima la quale, incisa nella sua sfera volitiva da falsi motivi, si determina ad una scelta patrimoniale che altrimenti non avrebbe effettuato” (Cass. Pen. cit.). In sostanza, la Corte ha ribadito il medesimo orientamento già seguito dalla citata decisione del Tribunale di Milano, riconoscendo come nell’ambito di contesti “sentimentali” o “romantici” l’ipotesi di reato sia configurabile solo se la condotta menzognera sia, sin dalla fase iniziale della relazione, concepita per risultare strumentale all’induzione in errore sulla causa dell’atto patrimoniale che la vittima finirà per adottare, in proprio danno e con realizzazione di un ingiusto profitto in favore del soggetto agente. Le difficoltà insite nell’accertamento probatorio all’interno di vicende del genere di quelle trattate dalle sentenze qui in commento, appaiono invece radicalmente ridimensionate, nel caso di “truffe sentimentali” del tipo “online”. In questi casi, significativamente ricorrenti nelle recenti cronache giudiziarie, la condotta connotata da artifici e raggiri, si risolve nella creazione di falsi profili social, nell’utilizzo di false generalità o di immagini personali non corrispondenti alle sembianze del soggetto agente, nell’adescare altri frequentatori dei social networks, nell’intessere relazioni virtuali per poi indurre le vittime a concedere regali, somme di denaro, acquisti immobiliari o altro.
Simili condotte, talvolta, risultano organizzate su larga scala e raggiungere – data anche la quasi illimitata potenzialità di contatti garantita dall’uso dei social – numeri rilevanti di “vittime”. In tali casi, un corretto approfondimento ad opera degli investigatori, con l’ausilio ad esempio della polizia postale o di consulenti esperti per gli aspetti di tipo tecnico funzionali alla identificazione degli utilizzatori di falsi profili o di falsi dati o documenti diffusi in internet, può risultare determinante nella ricostruzione degli elementi tipici della condotta truffaldina e scoprire inesorabilmente l’inganno e provarne la strumentalità in chiave illecita, nei termini sopra descritti.
Avvocato Ida Blasi
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